“…I am only interested in that which is original, “original” in the sense of origin, of re-establishment, of beginning again, of going to the source, which implies the existence of something incontrovertible…” [1]
C. Pinós
00./ Prefacio / Prof. Dr. Arq. Renato Bocchi
L’accurata analisi di Claudio Conenna colloca bene l’opera architettonica di Carme Pinós in un vasto quadro di relazioni con molte espressioni significative dell’architettura moderna e contemporanea, a partire dall’opera di grandi maestri come Le Corbusier e Alvar Aalto, nonché entro la temperie culturale catalana da cui origina la sua formazione. Inoltre, raccogliendo una sottile intuizione di Rafael Moneo, definisce con attenzione la innegabile cifra “emozionale” del suo lavoro, in relazione ad una sorta di empatica immedesimazione del suo temperamento umano personale con la connotazione figurativa della sua architettura. Un’architettura dalle forme spesso articolate, dinamiche, talvolta esuberanti o persino irrequiete, oppure – come sottolineato in alcuni passaggi del saggio – “gesticolanti”, proprio allo stesso modo con cui Carme racconta i suoi progetti con i gesti intensi delle mani e delle braccia più ancora che con le parole, ridisegnandoli nell’aria, quasi a ripeterne le linee vergate sulla carta.
Mi soffermerò anch’io per un attimo su quest’ultimo aspetto che sempre mi ha colpito durante gli anni dell’ormai lunga amicizia con Carme, al punto che parecchi anni fa per un suo intervento all’Università Iuav di Venezia, in cui illustrava i suoi progetti relazionati con il paesaggio, escogitai un titolo che suonava: “Il senso di Carme per il paesaggio”, a rimarcare quella evidente “sensualità” che caratterizza il suo modo di interpretare le forme del paesaggio e trasferirle in certo modo nelle sue architetture .
Carme Pinós, infatti, cerca un contatto diretto, “corporeo”, con le forme del paesaggio così come con gli spazi della vita di tutti i giorni, piegando con sapienza il suo ricco vocabolario di forme a costruire spazi di relazione e di socialità luminosi e intensi. Il progetto di Caixa Forum a Saragozza è una testimonianza fulgida di questa capacità nel conferire all’oggetto architettonico un ruolo decisivo di coniugazione dei rapporti morfologici e topografici fra i tessuti urbani che lo contornano, senza per questo rinunciare ad una sua autonoma iconicità - o per meglio dire “personalità” - e soprattutto riuscendo a definire un’intensità evidente di rapporti dentro/fuori, che vivifica gli ambienti del nuovo centro culturale e identifica ciascuno di essi nelle loro peculiari caratteristiche spaziali.
Durante il dibattito seguito a un’altra conferenza nelle nostre aule veneziane lo scorso novembre - dedicata appunto al rapporto della sua architettura con l’esperienza degli spazi della vita quotidiana - Carme Pinós ha dichiarato esplicitamente di “interpretare questo rapporto in una dimensione per così dire corporea”. A tale dimensione sensibile o appunto corporea si unisce tuttavia un interesse spiccato per la vita collettiva, per cui l’esperienza dello spazio è da lei costantemente interpretata in diretto collegamento con la dimensione sociale degli spazi, sia quelli urbani sia quelli interni d’uso collettivo. “Lo spazio architettonico – ha spiegato agli studenti - deve aiutarci a trovare rapporti umani e perciò a socializzare, sicché per esempio per la piazza Gardunya a Barcellona ho disegnato uno spazio urbano articolato che interpreta i modi degli spazi urbani medievali, esattamente come si vivono gli spazi urbani di Venezia, i quali infatti possiedono una forte potenzialità a favore della vita sociale”.
Tale ricerca implica dunque due strategie parallele, che costituiscono leit-motiv dei suoi progetti: la prima implica uno stretto legame istituibile fra le architetture e il loro contesto urbano e paesaggistico, la seconda implica un rapporto delle forme costruite con la scala umana e il vissuto degli abitanti, in termini di dispositivi spaziali ed elementi della costruzione che sono congegnati in stretta simbiosi con le caratteristiche di percezione e quindi di appropriazione degli spazi stessi.
Ne deriva quello che ella stessa definisce “un linguaggio plastico in qualche modo seduttivo, un’eleganza astratta delle forme”. Di nuovo la sensibilità personale della progettista diventa un tramite verso la dimensione esperienziale degli spazi offerta agli utenti: da cui deriva il suo interesse a scrutare con estrema curiosità la vita quotidiana nei vari luoghi per poterla interpretare quasi antropologicamente nei progetti. Ne conseguono l’attenzione a definire gli attacchi a terra degli edifici, il taglio delle finestrature, le penetrazioni della luce negli edifici, le terrazze che si aprono al paesaggio, le scale che si aprono verso l’interno e verso l’esterno… C’è senz’altro in questo anche una componente spiccatamente femminile, che con certa maliziosa ironia talvolta Carme sottolinea, come quando per la Torre Cube 1 di Guadalajara ricorda come abbia voluto realizzare una balza che consentisse di mostrarne le gambe, o per la Torre Cube 2 spiega che ha voluto ottemperare alla richiesta di “visibilità” da parte dei clienti non tanto lavorando su un mascolino competitivo slancio verticale quanto su un più femminile mostrarsi sporgendo avanti il naso.
Penso, tutto sommato, che nel clima latino-americano del Messico la sensitività architettonica di Carme Pinós abbia trovato, e possa in futuro trovare ancora, un terreno assai fertile e congeniale.
RENATO BOCCHI
01./ Introducción
“…Hacemos arquitectura de la misma manera que interpretamos el mundo. Cada uno de nosotros adopta un orden de valores y principios; cómo anteponemos uno respecto a otro es lo que delimita y marca nuestra idea de espacio, incluso nuestra actitud plástica…” [2] C. Pinós
Carme Pinós es una arquitecta occidental, de Europa, con lo que significa para alguien crecer y vivir dentro de la cultura occidental europea, con su historia, su mentalidad, sus teorías del mundo y la percepción del espacio. Dentro de Europa Carme Pinós tiene su propia identidad: es española, con lo que representa ser español ya que en España es muy fuerte el cruce de culturas desde el medioevo. Occidente y Oriente con la cultura árabe. Europa y África con sus padres de la Iglesia, Orígenes, San Agustín, Tertuliano entre otros. La península ibérica ha sido simultáneamente receptora y creadora. El temperamento español funcionó como eslabón de unión en el arte. Allí, en el mosaico de corrientes artísticas coexisten sin un carácter exclusivamente nacional; lo clásico, lo árabe y lo cristiano [3].
El espacio occidental es continuo, perspectívico, tiene convergencia y punto de fuga. En el espacio oriental árabe, podemos hablar del espacio cuántico, un espacio donde existe una estratificación sucesiva que no conoce fuga. Con todo, la arquitectura árabe está siempre ligada al lugar y responde al clima donde se implanta; un tema característico en la arquitectura de Carme Pinós, que parte siempre del contexto [4]..
Carme Pinós es española, pero sobre todo es catalana. Esta identidad no la construye el lugar de nacimiento y la lengua. Para entender que significa ser catalán podemos recordar al filósofo José Ferrater Mora quien en su libro “Las formas de vida catalana” aclara la idea de Cataluña como un encuentro de tres mentalidades: europea, española y mediterránea. Ferrater Mora es el padre del método “integracionista” donde se encuentran armónicamente conceptos contradictorios como: la lógica analítica y el instinto filosófico, la fenomenología y el racionalismo, lo subjetivo del sentimiento y lo objetivo de la razón, entre otros tantos. Una de las virtudes de los catalanes, según Ferrater Mora, es la “Continuidad” [5]. La esencia de la continuidad es la evolución y el cambio. En la idea de continuidad se encuentra una percepción madura de la tradición, así como la planteara Miguel de Unamuno definiéndola como: “la tradición eterna” [6]. Tradición como fuente de inspiración que reconsidera el pasado sin anularlo. Y no la tradición como obstáculo de la continuidad, anclada en un pasado que no permite ni el desarrollo ni la transformación. Los catalanes como seres del mediterráneo estiman la extroversión y la exteriorización. La forma es parte de esta última y se verifica que el catalán, según Ferrater Mora, no puede vivir con los objetos que desea sin que ellos hablen con esquemas y formas expresivas. Muchas personalidades de Cataluña en la arquitectura y el arte lo demuestran, por ejemplo A. Gaudí, J. Jujol, S. Dalí, J. Miró, E. Miralles, J. Llinás entre tantos otros, así como también Carme Pinós.
Podemos decir que la obra de Pinós esconde en su profundidad una dinámica morfológica y una inquietud racional. Lo poético y lo racional se encuentran en un diálogo continuo, así como el sentimiento con la lógica y el corazón con la mente en el ser humano. A su arquitectura la podríamos caracterizar como un expresivo racionalismo o como una expresión poética de la razón. Materia, forma, espacio, estructura son los cuatro elementos que conforman tanto lo poético de una idea, como lo poético del materializar, concretar y realizar [7] que tiene el construir en la arquitectura. Líneas, superficies, volúmenes en su obra combinan paradójicamente una plástica racional junto a una lógica orgánica. En su obra se advierte cómo es el sitio el que determina la geometría del proyecto y no lo contrario. Un hilo invisible recorre su obra y es este el que, como un pentagrama, estructura y organiza los sonidos que producirán melodías y sinfonías teniendo conciencia del contexto donde se ubican.
Las curvas plásticas, orgánicas, enérgicas, son gesticulaciones proyectuales de su obra creadoras de episodios geográficos artificiales y a la vez familiares con su lugar de implantación. Semejante a las de un arroyo que corre en la naturaleza buscando a su paso acomodarse al paisaje. Pinós dice repetidamente que la arquitectura no es sólo para que la veamos, sino que además para que la vivamos y la sintamos [8]. Cada vez, como que “oye” los requerimientos del lugar y análogamente le “responde”. Cada propuesta suya es distinta de la anterior y ello significa, no sólo que los terrenos son diferentes cada vez, sino que además cada vez arriesga algo nuevo, diverso y particular. No existe auto-referencia, ni fórmulas, ni estilos que se repiten. Sí existe un modus operandi de trabajar con lo existente y es lo que ella misma sintetiza en todas sus conversaciones: “Siempre desde el Contexto”; filosofía proyectual que seguramente proviene de la cultura urbana de su propia ciudad: Barcelona, la cual es por excelencia un ejemplo de contextualidad [9].
02./ Puntos de partida
“…There is always a narrative. We always invent something. I invent stories for myself to design. It is a dialogue with the program, with the context…”[10] C. Pinós
La obra de Pinós es coherente, sensorial y sobre todo creativa. Coherente desde sus primeros trabajos, incluyendo aquellos desarrollados en colaboración con Enric Miralles, en la manera de elaborar las ideas a partir de bocetos hasta la obra construida; es sensorial en el sentido como las líneas dibujadas en el papel se materializan en la realidad con idéntica sensibilidad; y es creativa por la forma que implanta cada proyecto dejando su huella personal de modo sutil, como si caminara en puntas de pie para no hacer ruido. Estas tres características demuestran un modo de hacer que se va precisando a través del tiempo en el pensamiento y la experiencia, ambos guiados por lo vivencial humano. Esas vivencias de lo cotidiano parecen ser determinantes para definir la calidad espacial. Magdalena Jaume y Josep Quetglas sostienen que toda la obra de Pinós está atravesada por una “sensualidad irrefrenable”, que si bien no es espectacular es sentida y presentida [11]. Como quiera que sea, la arquitectura de Pinós contribuye a enriquecer culturalmente los contextos donde le toca intervenir. No es casual que haya sido premiada con la “Cruz de Sant Jordi” (2015) precisamente porque el consejo de la Generalidad de Cataluña valoró su arquitectura como un bien cultural [12]; y también la “Medalla d'Honor de la Xarxa Vives d'Universitats” (2019), en reconocimiento al compromiso con la ciencia y cultura catalana.
En sus proyectos concilia cuestiones opuestas tales como: naturaleza y cultura, historia del pasado y de la modernidad, lo estándar y lo exclusivo, la razón y la emoción, lo intelectual y lo intuitivo. Y el resultado de todo ello se da tanto en lo compositivo general como en el diseño particularizado, dónde se suceden superposiciones de planos, líneas y volúmenes. Sobre este tema Ana María Torres escribió un interesante texto en su libro sobre Carme Pinós al que tituló “Overlay”[13]. Esas superposiciones tienen un antecedente casi directo en la obra de Alvar Aalto, donde -como en el caso de Carme Pinós-, se sobreponen operaciones de contrarios, la estructura polifónica, el juego, la experimentación, el pensamiento visual-basado en la observación y la memoria- la experiencia multisensorial, el carácter pictórico y la idea de collage en sus composiciones [14]. En el caso particular de Pinós lo pictórico podría asociarse al dibujo de las plantas donde las representaciones gráficas se acercan a las pinturas abstractas de los movimientos artísticos de entre-guerra. Y el collage se verifica en la amalgama de formas, en la fusión de superficies y en la combinación de materiales.
Su máxima influencia, según su propia declaración, es Le Corbusier [15], sin embargo las coincidencias con la actitud y la obra de Alvar Aalto, especialmente aquella inserta en entornos naturales, son notorias. El maestro finlandés hablaba del proceso de diseño asemejándolo al recorrido de la trucha en el arroyo montañoso [16]. Pinós, por su parte, lo define como un juego de aventuras, donde la anécdota y la sorpresa se convierten en la contingencia proyectual, proceso que se convierte en una experiencia de vida [17]. Ella misma sostiene que siempre hay una narrativa, con historias inventadas para poder diseñar, donde dialogan el programa y el contexto [18]; además, un rol importante asumen la experimentación y el juego proyectual de búsquedas para la maduración de las ideas [19]. A esta mentalidad o arte de jugar instintivamente se adhieren el conocimiento empírico y la deducción lógica.
Lo que sucede con Aalto, y que también es posible asociarlo a Pinós, es que las arquitecturas de ambos se caracterizan por navegar entre lo estructural racional y el embate creativo; lo que se puede definir gráficamente, como asevera St John Wilson cuando se refiere a Aalto, en un ideograma donde la línea recta y la serpentina se complementan viniendo a representar el análisis riguroso y la oleada turbulenta de la imaginación [20].
Por otro lado, Aalto prácticamente no escribía porque, –según él- su función era hacer arquitectura; Carme Pinós no está lejos de esa mentalidad. Además, ella al igual que Aalto, siente que la experiencia del espacio es más importante que la geometría del mismo. Las coincidencias no son pocas, si rastreamos algunos de los escritos de Aalto [21], los cuales corroboran su obra arquitectónica, veremos cuantas operaciones y actitudes proyectuales similares en la obra de la arquitecta catalana hacen evidente esta comparación. Lo extraño es que raramente Pinós mencione al arquitecto finlandés. Sin embargo, analizando las dos arquitecturas veremos que en esencia lo que buscan es armonizar elementos aparentemente opuestos y contradictorios, para llegar a la misma síntesis, es decir pensar sobre todo en el hombre que siente y vive la espacialidad arquitectónica.
03./ Diálogo con el sitio
“…Su manera de ocupar y ganar el terreno es intuitiva. Responde a las sugerencias del suelo…” [22] P. Azara
Las respuestas arquitectónicas de sus obras no se imponen ni imitan el contexto. La naturaleza entre sus propias líneas insinúa su interrogante del cual Pinós, observando, leyendo y tratando de entender el lugar va buscando una respuesta proyectual que logre la conciliación que el sitio espera de la lesión que la arquitectura inexorablemente provoca con su intervención. En su juego de búsquedas las respuestas son libres y delicadas dentro de los límites que los cánones arquitectónicos conllevan.
Pareciera ser que en ese proceso proyectual la voluntad y el azar van de la mano dialogando, y los resultados van dejando un final abierto. Se trata de una arquitectura que posee contraposiciones y superposiciones de formas y superficies. En las relaciones existen equilibrios y tensiones. En todo caso, los diseños ni plagian, ni subyugan al paisaje, sencillamente buscan su lugar y resulta siempre una grata sorpresa cargada de poesía. Cada uno de sus proyectos, si bien crea un accidente en el territorio, se apropia sutilmente del lugar haciéndose eco de él; en sus propias palabras: “Llenar el aire de murmullos” [23].
El profesor Pedro Azara define poéticamente la arquitectura de Pinós como una obra que se incorpora a los pliegues del terreno llegando a concretar una integridad con él para resultar una parte inseparable del paisaje al igual que una construcción inmemorial [24]. Además asocia la actitud de Pinós, respecto de las implantaciones y el modo de amoldarse a la tierra, a la sabiduría y astucia de un zorro, el cual explora minuciosa y sigilosamente el lugar escuchando y descubriendo sus secretos antes de atrapar a su presa; a diferencia de la prepotencia del león que se impone con su fuerza sin considerar modos ni formas [25]. En la misma frecuencia, aunque con otras palabras, Rafael Moneo define la obra de Pinós como una arquitectura sin límites que se expande sin fronteras y aspira a convertirse en geografía [26].
Lo cierto es, como ella misma lo expresa al explicar sus proyectos, que el juego con el contexto es un diálogo con la naturaleza, desde el recorrido, la observación y el entendimiento, nunca imitando o imponiéndose [27]. En este punto también se advierte una coincidencia con el pensamiento de Alvar Aalto, quien consideraba al paisaje como el punto de partida estético más importante, pues allí se advierte lo natural, lo orgánico y la percepción no-geométrica del espacio; fisonomías topográficas ligados a la atmosfera de los bosques y lagos de Finlandia [28].
Lo morfológico, gesto característico en la obra de Pinós y a la vez un enigma logrado, se acerca a lo que Aalto sostenía respecto del misterio de la forma plástica, a la que consideraba un aspecto importante ya que le proporciona a la gente un sentimiento de placer [29].
Las composiciones arquitectónicas de Carme Pinós evitan las excesivas repeticiones y la regularidad, más bien enfatiza la plasticidad tridimensional de las formas con desviaciones, diagonales o movimientos curvilíneos; lo que estimula al continuo movimiento visual y de recorrido. En general evita las simetrías axiales recurriendo más bien composiciones polifónicas desarrollando temas simultáneos. Sus composiciones poseen patrones ricos, entrelazados, temas superpuestos que invitan al descubrimiento, y gesticulaciones que parecen alcanzar la improvisación y el capricho. No obstante, aunque sus diseños no son predeterminados poseen una fuerte coherencia debido a los motivos y líneas entretejidas que en sus espacialidades crean atmósferas conmovedoras, experiencias sensoriales y kinestésicas de movimiento.
Pinós no prioriza el enfoque teórico de la arquitectura, más bien busca experiencias en el entorno físico real, relacionadas con los sentidos y las emociones, más que con ideas abstractas. Es por ello que sus obras revelan su plena complejidad y gracia cuando se encuentran en la realidad construida.
04./ Algunas invariables de su arquitectura
“…Es el lugar el que debe dar la geometría, y no la geometría la que modifique el lugar…” [30] C. Pinós
Ciertos gestos proyectuales constantes que advertimos en la arquitectura de Pinós nos permiten organizar el pensamiento sobre su obra. Elegimos algunos temas para tratar de entender su trabajo arquitectónico; en él aparecen ciertos patrones de imágenes con identidad propia, tales como la expresión estructural, la línea ondulante que fluye y las formas articuladas e intersectadas plásticamente, temas estos que aparecen tanto en ideas rectoras, diseños de plantas, secciones, así como en distintos detalles de solados, muros, carpinterías, cubiertas etc.
A saber:
a) La Curva plástica
Esta gesticulación es uno de las constantes en la obra de Carme Pinós. La curva plástica, viviente, briosa y continua es la extensión coherente de lo que ella misma propone cuando proyecta sobre el paisaje. Se trata de propuestas arquitectónicas con un fuerte dinamismo y expresión plástica. Son operaciones reguladas por una armonía vibrante que resuelve innumerables temas funcionales y estructurales, poseyendo además una tensión precisa que provocan emoción artística y sorpresa espacial [31].
La filosofía arquitectónica de Pinós se puede fundamentar sintéticamente -respecto de su proveniencia- en dos raíces: una es la riqueza de la tradición constructora de los catalanes y la segunda es la artística, más precisamente la pictórica; pensemos en la obra de los surrealistas Joan Miró y Salvador Dalí. Cuántas gesticulaciones plásticas y curvilíneas en el trabajo de Pinós parecen ser la continuación arquitectónica -en edificios y tratamientos paisajísticos- de tal antecedente catalán. En este punto hayamos la coherencia de su filosofía proyectual “Siempre desde el Contexto” la que viene a coincidir y completarse con la esencia de su propio contexto geográfico, histórico y cultural. En el resultado final de cada proyecto de Pinós se evidencian, de manera inseparable, la predisposición hacia lo constructivo-estructural y la sensibilidad por lo artístico-plástico.
b) “Elementarismo” horizontal
Entendemos el concepto de “elementarismo” desde lo artístico abstracto durante las vanguardias de entreguerras, donde el movimiento de los elementos constructivos –volúmenes, planos, espacios–, son al mismo tiempo elementos funcionales. Posteriormente, esta tendencia evoluciona y supera en el neoplasticismo lo ortogonal, para hacer predominar las líneas diagonales y los planos inclinados. Estrategia compositiva que suscita dinamismo y sorpresa.
Esta concepciones, en la arquitectura de Pinós, se advierten en el diseño de las plantas y las organizaciones volumétricas de obras donde, debido al elemento/célula repetitivo -viviendas, aulas, oficinas, habitaciones- favorecen una organización espacial lineal y por extensión evitando la monotonía de la línea recta, esta ultima toma en cada composición posiciones variadas como elementos diagonales o curvados. Tales diseños lineales se desarrollan desde su forma más sencilla de organización hasta situaciones más complejas y entrelazadas [32].
c) Juego de contrastes
Toda la obra de Pinós está impregnada de gestos contrastantes y hasta desprejuiciados, pero siempre armonizados, los cuales no pocas veces se pueden verificar en un mismo proyecto: Giros abruptos y líneas serenas, formas dinámicas variadas y ortogonales, sistematización e individuación estructural, sístoles y diástoles espaciales, son algunos de los contrastes y los que precisamente le dan “Gracia” a su arquitectura. Se trata de una cierta “negligencia o descuido diligente” semejante a la franqueza de las cosas hechas con espontaneidad y naturalidad.
Otro tipo de operaciones de contrastes lo podemos advertir entre las formas geométricas jerárquicas obligatorias y los esquemas plásticos que completan las composiciones, como se verifica en la resolución de instalaciones deportivas y sus construcciones de apoyo que rodean campos de juego en escuelas, estadios o en la plaza de toros. En el caso de los estadios pertenecientes a instituciones deportivas los edificios de baja altura que abrazan –en planta- el volumen o el espacio central de la composición [33] en algún caso como en la Móstoles –plaza de toros y centro de ocio- incluye la participación pública a nivel social. En estos casos los espacios de apoyo, que son comparativamente siempre escalarmente menores respecto del tema principal, tienen no obstante su expresión y su personalidad propia, que a pesar de su escala no pasan desapercibidos y son los que nos invitan al detenimiento, la observación y el recorrido.
d) Diseños paisajísticos
En estos trabajos el resultado es siempre un accidente geográfico más del paisaje –urbano o natural-, incidencias sin contusiones, gestos arquitectónicos reconciliadores, aventuras humanas donde la topografía es labrada, moldeada, esculpida con sutileza.
Sus intervenciones paisajísticas arman cada vez un juego orquestado de arreglos plásticos a partir de notas arquitectónicas funcionales, formales estructurales y poéticas, como umbráculos, vegetación, parterres, caminos, senderos, bancos, pasarelas peatonales, agua, solarios, espigones entre otros tantos detalles. Todas esas notas ensambladas constituyen las gesticulaciones dinámicas, vibrantes y sugerentes –como la de sus edificios- que definen su arquitectura paisajística, Una familiaridad proveniente de la misma matriz proyectual. La historia arquitectónica paisajística de Pinós comienza con el Parque Cementerio de Igualada -llevado a cabo junto a Enric Miralles-, el resto sigue coherentemente esa línea proyectual de “geografías arquitectónicas” talladas o grabadas en los paisajes [34].
e) Edificios en altura
Las torres están diseñadas de tal modo que poseen una manera particular de hacer ciudad desde la altura con características de “hito o landmark” en su voluntad de ser singulares. Podríamos decir que es la estructura sustentante la que en general le dan una imagen escultural y a la vez le provee espacios interiores variados. En general la forma organizativa de las plantas son en “cluster”. Los elementos que las componen resuelven al mismo tiempo y de modo equilibrado función, espacio, forma y estructura, permitiendo en su repetición vertical crear un esbelto volumen danzante [35]. La Torre Cube I o Edificio Puerta de Hierro es la más elaborada en su diseño. Una gran cantidad de metros cuadrados se hallan equilibradamente distribuidos otorgándole ligereza gracias a la organización volumétrica en cluster o racimo también. La planta y la volumetría parecen ser una reinterpretación del concepto “sirviente y servido” en la filosofía arquitectónica de Louis Kahn [36], pero resuelto con una geometría libre, No-Euclidiana. La Torre Cube I se caracteriza por este tipo de articulación espacial y además por la integración estructural, circulatoria y de servicios al igual que el edificio de los Laboratorios -de Investigaciones médicas y biológicas- A. N. Richards en la universidad de Pensilvania. Si consideramos a esta obra de Kahn apolínea y dórica como el Partenón, la torre de Pinós resulta dionisíaca y jónica como el Erecteón.
Por otra parte la plasticidad y forma de la planta le dan la idea al escritor Rafael Argullol de asemejarla a una hélice con vocación terrestre pero lista para volar y así desafiar las alturas [37]. Uno de los rascacielos que diseñara Le Corbusier en 1937 posee en su planta una forma semejante aunque mucho más racional y geométrica. Igualmente el maestro suizo-francés proyectaría en 1933 para Argel (Argelia) la Maison locative Ponsik, de la cual su sección parece ser un antecedente de la Torre Cube I cuando observamos la volumetría y sus vacíos en sus diferentes fachadas.
05./ Anti-epílogo
“…La arquitectura de Carme Pinós es vibrante, directa, tensa: una sensación de continua agitación que domina…” [38] R. Moneo
Para concluir coincidiremos con Rafael Moneo cuando sostiene que la arquitectura de Carme Pinós es el reflejo de su identidad como persona y la expresión de su propia energía [39]. Ella es su arquitectura. Sus gesticulaciones arquitectónicas son precisas, firmes, decididas y de gran expresividad. Son obras cargadas de tensión y dinamismo, con cierta frescura que hacen que los proyectos creen un clima festivo, alegre que celebra la vida.
La naturalidad de la arquitectura de Pinós se basa más en el gesto morfológico-espacial que en la forma geométrica per sé. Y es precisamente esa gestualidad la que le da franqueza, atrevimiento y espontaneidad a sus obras. Los espacios en ellas superan la abstracción, transmiten la naturalidad de la vida, interpretan la existencia humana y hacen evidentes los rasgos característicos de sus sentimientos y necesidades. Las formas plásticas, las suaves tonalidades cromáticas, el juego variado de los materiales naturales les otorgan a los interiores una atmósfera acogedora y tangible.
Pinós rescata la diferencia entre los materiales que envejecen y aquellos que sólo se deterioran y entiende la fragmentación como forma de continuidad que evita la imposición de formas geométricas puras [40]. Los límites de sus edificios son más que nada bordes pues en estos existe la negociación y el diálogo, mientras que en el límite la división es fija y roza lo prohibitivo negando la relación interior - exterior. Su postura es mediterránea en la forma de relacionarse con el contexto físico inmediato y la manera en la que se apropia de él. Y de allí, Contexto, Concepto y Cliente son tres notas claves que determinan un proyecto. El contexto con su topografía y su carácter da la primera nota, luego el concepto va ligado al terreno y a la propuesta estructural-formal, más el cliente que define el tema, el programa y el presupuesto con los cuales trabajar. La rigurosidad y lo racional donde lo estructural se hace relevante existe en Pinós desde la iniciación de cada proyecto y desde el principio de su carrera; lo reconoce ella misma cuando explica proyectos -no construidos- desarrollados entre 1983-86 junto con Enric Miralles [41]. Igualmente se verifica también en aquellos construidos como en las Pérgolas de Parets, el centro deportivo de Huesca, el Centro Social de Hostalets y la Escuela La Llauna.
Lo que hace que su arquitectura sea de fiesta es la experimentación en las formas, estructuras, materiales y detalles constructivos. Cada obra posee un gesto que desequilibra transponiendo lo canónico. La Caixa Forum por ejemplo, al ser como una escultura o un hito alegre que celebra la vida, resulta un claro paradigma de lo festivo en su arquitectura. La respuesta estructural le da forma a la obra y permite que se abra al parque, a la ciudad, invitando a la participación de todos sus habitantes. El clima de fiesta en el parque culmina al caer la tarde, cuando como una lámpara gigante la Caixa Forum se enciende y le da vida nocturna al sitio. Su coterráneo Josep Llinás a este tipo de obras de arquitectura al ser una excepción y por ende celebrativas frente a lo que es meramente construcción las denomina “endomingadas”, pensando que el domingo es un día de fiesta frente a la cotidianeidad de los días de semana laborales [42].
Carme Pinós distingue la arquitectura residencial que genera continuidad de la arquitectura singular –teatros, iglesias, centros culturales etc.- porque esta última ha de ser en el contexto urbano un espectáculo poético, de identificación, generador de sentimiento colectivo [43]. La vivienda residencial crea el “fondo” y la arquitectura singular la “figura”. Es difícil que exista la una sin la otra, ambas necesitan de la otra parte. Pinós, a lo largo de su obra, ha sabido actuar en las dos posiciones; diseñando para fortalecer el “fondo” soporte de la continuidad o, para celebrar la “figura”, creando hitos poéticos para un lugar. Un ejemplo donde se conjugan las dos tendencias simultáneamente es el proyecto de la plaza Gardunya, obra que además tiene una fuerte connotación arquitectónica y urbana a la vez.
Sus constituyentes arquitectónicos son tres: la fachada posterior del mercado de “La Boquería”, el conjunto de viviendas y la escuela de arte “Massana”. Y los urbanísticos son la plaza, la fachada-galería de la Boquería, la singularidad de la escuela como edificio institucional y el cuerpo articulado del bloque de viviendas que se adapta volumétricamente a la fabrica de la ciudad en ese sector histórico de Barcelona y al mismo tiempo crea pequeños espacios públicos que enriquecen los ya existentes. Así las perspectivas que se crean están relacionadas con el sitio, entre ellas el pasaje urbano coincidente con la continuidad de las arquerías de “La Boquería”.
Se trata de un diseño con gestos dinámicos y variados que generan sorpresa en el transeúnte. El esquema de la plaza no posee un esquema geométrico riguroso sino que demuestra una deformación y fragmentación controladas que contribuye a enriquecer la perspectiva visual del observador. En este conjunto la dinámica espacial se ve acentuada por “el sentido del recorrido” y por las “articulaciones e imbricaciones” como lo define Francis Rambert en su análisis [44]. Salvando las distancias espaciales y temporales este ejemplo de arquitectura y espacio urbano nos conduce a compararlo con notables paradigmas de la historia tales como Il Campidoglio (1536-46) de Michelangelo en Roma; La Piazza Pio II (1459-62) de Bernardo Rosellino en Piensa y el Centro Cultural y Administrativo (1960-68) de A. Aalto en Seinajoki entre otros. Ellos como la Gardunya de Pinós poseen el germen de las virtudes de un bien articulado y ensamblado diseño arquitectónico-urbano, donde las arquitecturas participan del ambiente urbano y este se entrelaza con aquellas conformando un sistema indivisible.
Una de las virtudes fundamentales de la obra arquitectónica, urbana y paisajista de Pinós es que desde sus dibujos y maquetas hasta la construcción agita nuestra imaginación y estimula nuestras emociones debido a que, no resuelve los proyectos exclusivamente de manera racional sino que en su manera de trabajar le da lugar a la interacción con lo instintivo, lo artístico y lo poètico; así, conocimiento e inspiración transitan juntos el camino proyectual, lo que contribuye a que en sus propuestas se conjuguen la técnica constructiva con el arte plástico. No es casual que para ella misma la arquitectura es un arte con mayúsculas capaz de comunicar poética espacial [45].
Agradecimientos
Agradezco la gentileza del profesor doctor-arquitecto Renato Bocchi por la lectura y su prefacio de este ensayo y también la de la profesora doctora-arquitecta María Elena Hernández Álvarez por sus observaciones, comentarios y sugerencias las que me fueron muy útiles para completar este ensayo.
Claudio Conenna
Notas
[1] C. Pinós,”Following the trace“, en P. Noever, The end of architecture?, p. 73.
[2] C. Pinós, ”Pensamientos que me acompañan“, en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 8.
[3] F. Chueca Goitia, Invariantes castizos de la arquitectura española, p. 20-25.
[4] C. Pinós, “Siempre desde el contexto”, Conferencia – Salónica, Junio 2013.
[5] J. Ferrater Mora, Les formas de vida catalana, p. 27-47.
[6] M. de Unamuno, En torno al casticismo, p. 27-50.
[7] Poesía = Poisis: gr. Πο?ησης; Poético = Poiitikó: gr. Ποιητικ? del verbo Poió: gr. Ποι?, = Hacer, Plasmar, de aquí: Ylo-poió = «υλο/πο??», materializar; Synkekrimeno-poió «συγκεκριμενο/ποι?» = concretar, Pragmato-poió = «πραγματο/ποι?» = realizar.
[8] C. Pinós, “Siempre desde el contexto”, Conferencia – Salónica, Junio 2013.
[9] F. Rambert, ”Cuidar la articulaciones de la ciudad“, en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 244.
[10] C. Pinós, en A. M. Torres, Carme Pinós: an architecture of overlay,p. 8.
[11] M. Jaume, J. Quetglas, ”Carme Pinós, dos apuntes del natural“, en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 260.
[12] C. Pinós, en A. Diaz “Entrevista a Carme Pinós”.
[13] A. M. Torres, “C. Pinós: overlay” en Carme Pinós: an architecture of overlay,p. 8-13.
[14] J. Pallasmaa. “An architecture of imagery: conception and experience in Alvar Aalto’s architecture”, en B. Farmer & H. Louw, Companion to contemporary architectural thought,p. 409-415.
[15] C. Pinós, en A. Diaz “Entrevista a Carme Pinós”.
[16] A. Aalto, “The trout and the mountain stream”, en G. Schildt, Sketches Alvar Aalto, p. 96-98.
[17] A. M. Torres, Carme Pinós: an architecture of overlay,p. 11.
[18] C. Pinós, en A. M. Torres, Carme Pinós: an architecture of overlay,p. 8.
[19] Conversación del autor con Carme Pinós, Junio 2013.
[20] C. St John Wilson, “Alvar Aalto and the state of Modernism”, en Architectural reflections, studies in the philosophy and practice of architecture, p. 91.
[21] A. Aalto, “Influence of structure and material on contemporary architecture”, en G. Schildt, Alvar Aalto in his own words, p.98/102; “Culture and technology”, “Art and technology”, “Between humanism and materialism”, en G. Schildt Sketches Alvar Aalto, p.94-95, 125/129, 130/133, respectivamente.
[22] P. Azara, ”A salto de mata: la arquitectura de Carme Pinós“, en Carme Pinós, Algunos proyectos desde [1991], p. 189; y en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 49.
[23] C. Pinós, Algunos proyectos desde [1991], p. 13.
[24] P. Azara, ”A salto de mata: la arquitectura de Carme Pinós“, en Carme Pinós, Algunos proyectos desde [1991], p. 186; y en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 48.
[25] P. Azara, ”A salto de mata: la arquitectura de Carme Pinós“, en Carme Pinós, Algunos proyectos desde [1991], p. 183-184; y en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 46, 48.
[26] R. Moneo, ”Cuando lo construido habla de quien lo construyó“, en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 12.
[27] C. Pinós, “Siempre desde el contexto”, Conferencia – Salónica, Junio 2013
[28] A. Aalto, “Architecture in the landscape of central Finland”, en G. Schildt, Alvar Aalto in his own words, p.21-28.
[29] A. Aalto, “Between humanism and materialism”, en G. Schildt, Sketches Alvar Aalto, p.133.
[30] C. Pinós, ”Matalascañas“, en Carme Pinós, Algunos proyectos desde [1991], p. 47.
[31] Plaza de Toros y Centro de Ocio en Móstoles (Madrid); Centro Cívico L´Erm en Manlieu (Barcelona); Zona pavimentada de la pasarela peatonal en Petrer (Alicante); Mejoramiento paisajístico y equipamiento recreacional en Caldas de Reis (Galicia); Centro Cultural, Auditorio y Escuela de Música en Benidorm (Alicante); Reforma y Ampliación del Hotel Formentor en Palma de Mallorca (Islas Baleares); Centro Social para la tercera edad Sandarú en Barcelona; Polideportivo y piscina descubierta en Mouans-Sartoux; Edificio Puerta de Hierro, Cube I, En Guadalajara; Polideportivo Sarriguren en Valle de Egüés (Navarra).
[32] Centro de Negocios en Hameln-Pyrmont, Alemania, Edificio de Departamentos en el Campus WU de Viena, Áustria; Facultad de Educación en la Universidad de Alicante, Valencia, España; Instituto de Educación Secundaria 'Els Alfacs' en Sant Carles de la Ràpita, Tarragona, España; Edificio para la Universidad King´s College en Londres, Inglaterra; 'Maison de l'Algérie' en la Ciudad Universitaria de París, Francia; Viviendas de Protección Oficial en Saint-Dizier, Francia; Edificio viviendas en Valdebebas, Madrid, España; Complejo Hotelero en Isla Margarita, Venezuela; Hotel Pizota en Puerto Vallarta, México; Nuevo edificio de la Fundación Hospital Universitario Vall d´Hebron - Institut de Investigación. Barcelona, España; Bodegas en La Horra, España; Ciudad Judicial en Badalona, España.
[33] Plaza de Toros y Centro de Ocio en Móstoles (Madrid), Polideportivo y Piscinas exteriores en Mont-Sartoux, Polideportivo Sarriguren en Valle de Egüés (Navarra).
[34] Pasarelas peatonales, en Petrer (Alicante) y en Saint Dizier; Paseos marítimos La Havana (Cuba), J. Aparicio, Torrevieja (Alicante), La Ribera en Sitges (Barcelona), y Paseo marítimo y recuperación ambiental del Borde Litoral de Santa Pola, (Alicante); Parc de ses Estacions, Palma de Mallorca, Intervención en Lago Verde, (Lanzarote), Parque Dunar en Matalasañas, (Huelva), Area de Recreación en Morella (Castellón de la Plana), Mejoramiento paisajístico y equipamiento recreacional en Caldas de Reis (Galicia), Parque aromático Torreblanca, Torrevieja (Alicante).
[35] Las torres Cube I y II en Guadalajara, México, las dos torres de Caixa Galicia en La Coruña, (una de oficinas y la otra de viviendas) y Torre de Oficinas en L´Hospitalet del Llobregat, Barcelona; Viviendas en la Avd. Vallarta de Guadalajara, México; Complejo Bicentenario (Viviendas, Comercio, Oficinas y Hotel) en Guadalajara, México. Las torres en la obra de Pinós intentan hacer ciudad desde su perfil vertical.
[36] R. Giurgola – J. Meta , Louis Kahn obras y proyectos, p. 163.
[37] R. Argullol, ”A vista de Angel“, en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 100.
[38] R. Moneo, ”Cuando lo construido habla de quien lo construyó“, en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 12.
[39] R. Moneo, Ibid,, p. 12.
[40] C. Pinós, ”Pensamientos que me acompañan“, en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 9-10.
[41] C. Pinós, ”Presencia estructural y otras cosas relevantes“, en J. Rovira, Enric Miralles, 1972-2000, p. 144-151.
[42] J. Llinàs, “Noche y Día”, Conferencia en la Escuela de Arquitectura de la Universidad Aristóteles de Salónica Grecia. 15 de Mayo 2018.
[43] C. Pinós, en A. Diaz “Entrevista a Carme Pinós”.
[44] F. Rambert, ”Cuidar la articulaciones de la ciudad“, en D. Colafranceschi, Carme Pinós arquitecturas, p. 247.
[45] C. Pinós, en A. Diaz “Entrevista a Carme Pinós.
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